«Non lasciare nessuno indietro». È questo lo slogan della Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2022, che si celebra il 16 ottobre per commemorare la nascita della FAO, l’agenzia delle Nazioni Unite che guida gli sforzi internazionali per sconfiggere (o quanto meno ridurre) la fame nel mondo. Il tema dell’edizione di quest’anno ricorre da tempo nei contesti scientifici. E rimanda alla necessità di garantire una produzione di migliore qualità: nel pieno rispetto degli alimenti, ma pure dell’ambiente. E soprattutto un accesso al cibo meglio diffuso, per ridurre l’impatto della malnutrizione. Questi attuali già da diverso tempo, ma a maggior ragione in una fase storica in cui l’emergenza climatica, il conflitto tra Russia e Ucraina, la crisi economica e le conseguenze della pandemia rischiano di far diventare il piatto sano un miraggio per milioni di persone.
Ancora troppe disparità nell’accesso al cibo nel mondo
Il punto di partenza è il seguente. Sebbene siano stati compiuti progressi verso la costruzione di un mondo migliore, troppe persone sono rimaste indietro. Persone che non sono in grado di beneficiare dello sviluppo umano, dell’innovazione o della crescita economica. Sono milioni infatti coloro che, in tutto il mondo, non riescono a consumare una dieta sana. Esponendosi a due rischi: l’insicurezza alimentare (dettata dal consumo di prodotti potenzialmente contaminati) e la malnutrizione. Un problema che – come è facile intuire – non nasce dalla carenza di cibo. Ma da una iniqua distribuzione dello stesso, a cui concorrono fattori quali la disponibilità economica, l’aumento dei prezzi, la distanza dai centri urbani, gli scambi internazionali e le sempre più frequenti calamità naturali. Tutti elementi su cui il presente sta avendo un riflesso negativo. Ora e non si sa per quanto altro tempo, dal momento che è difficile stimare quando terminerà la pandemia o se (e quando) Russia e Ucraina giungeranno a un accordo che ponga fine al conflitto in atto da febbraio. Se da una parte il mondo globalizzato ha aperto nuove opportunità, dall’altro sembra aver ampliato le distanze tra i ceti più abbienti e quelli poveri. Ma la realtà, secondo la FAO, è che ogni individuo è fragile se lo si decontestualizza dalla società in cui vive. Da qui il titolo dato all’edizione di quest’anno del World Food Day.
La dieta sostenibile: cos’è e come seguirla
Nel weekend saranno migliaia le iniziative organizzate in 150 Paesi nel mondo per sensibilizzare i governi, le imprese, i media e la cittadinanza in generale sulla necessità di garantire un’alimentazione sana a tutti. Senza, per l’appunto, lasciare indietro nessuno. Già, ma qual è la dieta che può essere ritenuta equilibrata per tutti e al contempo rispettosa dell’ambiente in cui viviamo? A darci la risposta, uno studio pubblicato sulla rivista «The Lancet» nel 2019. Per salvare noi e permettere al Pianeta di sfamare i dieci miliardi di individui attesi per il 2050, occorrerebbe raddoppiare i consumi di frutta e verdura, legumi e noci e dimezzare quelli di zuccheri e carni rosse. La dieta proposta – da 37 esperti di nutrizione e sostenibilità provenienti da università di tutto il mondo, oltre che dalla stessa FAO e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – prevede l’assunzione di 2.500 chilocalorie al giorno dando ampio spazio ai cereali integrali (230 grammi), alla frutta e alla verdura (2-600 grammi), al latte e ai derivati (200-250 grammi) e ai legumi (75 grammi) e meno agli zuccheri (31 grammi), alla carne di pollo (29 grammi), al pesce (28 grammi), alle carni rosse e alle uova (14 grammi). Condimenti consigliati gli oli vegetali: extravergine di oliva o di colza.
Carenza di cibo e obesità: tutt’altro che un paradosso
Nessun dubbio sul valore delle indicazioni riportate nello schema proposto, che riporta chiari riferimenti alla dieta mediterranea: considerata negli ultimi anni la scelta più efficace da adottare anche per la salvaguardia dell’ambiente. Ma è la sua sostenibilità economica a lasciare perplessi, come peraltro dimostrano le grandi differenze rilevabili nell’accesso alle fonti alimentari. I contenuti non sembrano infatti adottabili nella pratica da quasi un quinto della popolazione mondiale. A rimanere fuori, immaginando che la dieta possa essere sposata su larga scala a partire da domani, sarebbe gran parte della popolazione dei Paesi dell’Africa subsahariana e dell’Asia orientale. Ovvero coloro che da sempre pagano il prezzo più alto della malnutrizione e che, da qualche anno, hanno iniziato a prendere confidenza anche con risvolti prima peculiari dei Paesi occidentali: come il sovrappeso e l’obesità. Condizioni che, alle nostre latitudini, sono spesso la conseguenza di un consumo eccessivo di cibo. Ma che possono insorgere anche in seguito a consumi adeguati nelle quantità, ma non nelle qualità di ciò che si mangia. Nel 2017 quasi 11 milioni di persone – più della metà delle quali con più di 70 anni – hanno perso la vita per colpa di una dieta «povera»: intendendo come tale non soltanto la penuria di alimenti, ma anche la loro scarsa qualità. Secondo le stime dei ricercatori che compongono la commissione «EAT-Lancet», nelle aree più povere del Pianeta, per seguire la dieta consigliata, occorrerebbe consumare quasi il 90 per cento del reddito pro-capite giornaliero. Nessun problema invece nei Paesi ad alto reddito, dove la scelta di seguire la dieta «planetaria» inciderebbe per il 6 per cento.
Una dieta sana deve preservare anche l’ambiente
Il modello dietetico indicato dagli esperti su «The Lancet» è considerato quello più efficace anche per ridurre la nostra personale impronta di carbonio – il nostro contributo alla produzione di gas serra – di circa due terzi. Un cambiamento piccolo, se riferito a un singolo individuo. Ma con una potenzialità enorme se riportato in uno scenario globale dove tutti compiono scelte sane e sostenibili. Optando per un menù vegetariano, infatti, è possibile quasi dimezzare l’impronta ecologica (clicca per scoprire come calcolare quella della tua dieta) rispetto a quanto determinato dalla scelta di un menù a base di carne. Un aiuto all’ambiente giunge inoltre dalla scelta di prediligere alimenti stagionali e a chilometro zero. Un aspetto, quest’ultimo, che riguarda anche i prodotti confezionati. Oltre che per conoscere a fondo ciò che mangiamo, saper leggere le etichette alimentari è importante anche per avere informazioni importanti su come e dove un alimento è stato prodotto e su come conservarlo al meglio per poterlo consumare in tutta sicurezza ed evitare di farlo andare a male. Questioni di cui di rado avremo ascoltato discutere i nostri nonni o genitori. Ma che oggi hanno un ruolo assolutamente di primo piano per preservare il Pianeta in cui viviamo noi. Ma soprattutto vivranno più a lungo i nostri figli.
Per saperne di più:
World Food Day – Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO)
Modelli di diete sane e sostenibili a partire dalle diete tradizionali – Ministero della Salute
Alimentazione e Salute: le risposte scientifiche alle domande di tutti – Fondazione Umberto Veronesi