È trascorso ormai quasi un anno dall’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina. Una guerra di cui sentiamo le conseguenze fin dall’inizio, complice anche la vicinanza rispetto ai nostri confini. Per non parlare dei riflessi sull’economia, che stanno portando molte famiglie a vivere in apnea ormai da mesi. Oggi, però, non è di questo che voglio parlarvi. Ma di una ricaduta più affine ai temi trattati sul mio blog: ovvero quella che una guerra può avere sulla salute. O meglio, quelle, perché come vedremo un conflitto è in grado di innescare (potenzialmente) una serie di conseguenze sul nostro corpo e sulla nostra mente. E non è detto che la sua conclusione inneschi immediatamente un ritorno alle condizioni di partenza. Guerra e salute è un binomio che non può funzionare, come ci raccontano ormai le esperienze di diversi secoli.
Fare la guerra vuol dire mettere a rischio la salute
Che ogni guerra rappresenti “un’emergenza di sanità pubblica”, gli esperti lo scrivevano sulle colonne della rivista “The Lancet” già ad aprile dello scorso anno. Le conseguenze possono essere immediate: è il caso delle morti violente o comunque delle conseguenze fisiche dei bombardamenti. Sono le più difficili da gestire, nell’attualità di una guerra e alla luce del progressivo indebolimento dei sistemi di assistenza sanitaria e sociale che viene a determinarsi nel corso di un conflitto. Intermedie: è il caso per esempio della recrudescenza delle malattie infettive, che proliferano in scarse condizioni igienico-sanitarie. O anche a lungo termine: è questo il caso delle problematiche di natura psicologica e psichiatrica che possono essere indotte (o amplificate) da un conflitto. Se il conto delle vittime dell’ultimo conflitto è in continuo aggiornamento e con dati comunque molto difficili da verificare, più definito è l’aumento delle recrudescenze delle altre due problematiche che si osserva sempre in concomitanza con un conflitto.
Le emergenze infettive
Le popolazioni sfollate sono quelle a maggior rischio di contrarre malattie di natura infettiva. Sono soggette a numerosi fattori che contribuiscono ad accrescere la possibilità di ammalarsi, tra cui l’aumento dei livelli di povertà e condizioni di vita e di lavoro particolarmente anguste. Recenti studi hanno messo in evidenza nelle popolazioni di rifugiati e richiedenti asilo la prevalenza di tubercolosi latente (9–45 per cento), tubercolosi attiva (fino all’11 per cento) ed epatite B (fino al 12 per cento). La maggiore prevalenza si è rivelata durante il conflitto in Siria, dove il crollo dei sistemi sanitari ha portato a un picco di malattie infettive come la leishmaniosi, la rabbia e la tubercolosi. Nel caso del conflitto Russia-Ucraina, si è aggiunto anche il Covid-19. Soprattutto nei primi mesi di arrivi dall’ex Repubblica Urss, migliaia sono stati i casi di persone giunte in Italia con l’infezione da Sars-CoV-2. A un già basso tasso di adesione alla campagna vaccinale, si è aggiunta la scarsa tenuta del servizio sanitario ucraino nel mezzo del conflitto. Un ostacolo alla cura degli infetti, ma pure alla profilassi vaccinale. Seppur in assenza di dati ufficiali, questo lascia supporre che nell’ultimo anno la curva dei decessi provocati dalla pandemia abbia virato verso l’alto.
Le conseguenze della guerra sulla salute mentale
Molti studi hanno inoltre dimostrato che la guerra ha un impatto negativo sulla salute mentale: sia di coloro che sono coinvolti nel conflitto sia dei civili. Le persone che vivono la guerra affrontano situazioni psicologicamente difficili, spesso vengono sradicate dalle loro case, affrontano l’insicurezza alimentare e la costante paura della morte e del ferimento, solo per citarne alcuni. Ciò provoca inevitabilmente danni al benessere psicologico di una persona e può esacerbare i problemi esistenti. A ciò occorre aggiungere che il conflitto tra Russia e Ucraina è avvenuto nel corso di una pandemia che aveva avuto (e continua ad avere) già significative ripercussioni sulla salute mentale. Con aumenti di disturbi d’ansia, depressione e disturbo post-traumatico da stress registrati praticamente in tutte le zone del mondo: in maniera proporzionale a quello che è stato l’impatto della pandemia, a cui da un anno si è aggiunto anche quello della guerra.
Bambini e donne i più fragili
I più esposti a questi attacchi, com’è inevitabile, sono i bambini. Per la loro fragilità (rispetto per esempio agli agenti infettivi), ma anche per la profonda fase di crescita che attraversano. Un periodo che, idealmente, dovrebbe scorrere nel modo più sereno. Ma che invece, per chi è venuto alla luce negli ultimi anni, è stato (anch’esso) condizionato prima dalla pandemia e poi dal conflitto. Da qui il timore di un ulteriore aumento dei disturbi psicologici nei prossimi anni tra coloro che saranno cresciuti su un “terreno” così minato. In ultimo, ma non in ordine di importanza, le donne. Anche loro sono particolarmente vulnerabili a questo presente. Al di là di quanto già detto, valido anche per loro, si pensi a chi è stata chiamata a diventare mamma in questo periodo. Una difficoltà in più, sul piano psicologico. E fisico, almeno per le donne che vivono nei territori colpiti dalla guerra, costrette ad appoggiarsi a ospedali a loro volta messi in ginocchio dalle bombe.
Per saperne di più:
Conflict and war: a dire threat to public health, World Congress on Public Health
La guerra fa male alla salute, Scienza in Rete
La povertà è la vera minaccia per la salute, Fondazione Umberto Veronesi