L’anno in corso, così come da annuncio diffuso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2018, dovrebbe essere l’ultimo in cui continueremo a trovare gli acidi grassi trans negli alimenti confezionati disponibili sugli scaffali dei nostri supermercati. Un auspicio, quello risalente a un lustro addietro, destinato però a rimanere utopia.
È la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, seppur in maniera implicita, ad averlo ammesso nelle scorse settimane. Considerando che cinque miliardi di persone nel mondo continuano a essere esposti ai rischi (soprattutto per la salute cardiovascolare) legati al consumo di alimenti ricchi di questi ingredienti, l’ambizioso obiettivo è ben lontano dall’essere raggiunto.
Motivo per cui conoscere i rischi è ancora più importante, nel momento in cui sono (e lo saranno ancora per diversi anni) presenti tra noi.
Acidi grassi trans: di cosa si tratta?
La premessa per spiegare al grande pubblico di cosa ho deciso di parlarvi è doverosa. Come ben spiegato in questo articolo pubblicato sul Magazine di Fondazione Umberto Veronesi, i grassi trans possono essere naturalmente presenti in alcuni alimenti o aggiunti. La differenza è sostanziale, perché è soprattutto questo secondo utilizzo a determinare il rischio di un apporto eccessivo e rischioso per la salute del cuore e dei vasi sanguigni.
Alimenti in cui sono rintracciabili i grassi trans sono i prodotti lattiero-caseari (burro e formaggi stagionati) e la carne derivata dai ruminanti (hamburger, salsicce, interiora). Della seconda categoria fanno invece parte merendine, glasse, biscotti, patatine fritte, pasti confezionati, a cui la margarina, il burro chiarificato e altri oli vegetali resi solidi vengono aggiunti per prolungare la vita sugli scaffali.
Un’abitudine andata consolidandosi a partire dagli anni ’60, quando ai grassi trans si iniziò a ricorrere per sostituire il burro (a sua volta sospettato di essere un fattore di rischio per la salute cardiovascolare). Poi però è giunta la consapevolezza dei rischi legati anche – se non soprattutto – al consumo di questi grassi.
Da qui l’invito lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ben lontano però dal concretizzarsi.
Acidi grassi trans: la soglia giornaliera da non superare
Secondo la comunità scientifica, per non incrementare il rischio cardiovascolare, non dovremmo consumare più di 2-2,5 grammi di acidi grassi trans al giorno. Ovvero non più dell’un per cento dell’apporto energetico giornaliero di una persona che segue una dieta da duemila chilocalorie al giorno.
In questo modo, sostituendo gli acidi grassi trans con carboidrati o con grassi insaturi a conformazione cis, l’incidenza delle malattie cardiovascolari potrebbe calare del 20-25 per cento. Ecco perché è necessario prestare attenzione alle etichette dei cibi industriali, nel momento in cui facciamo la spesa.
In Italia, infatti, non vi è alcun obbligo di legge per le aziende. Vige l’autoregolamentazione: per cui chi è più sensibile a questo argomento sta già provvedendo a rimpiazzare gli ingredienti incriminati con altri più salubri. vige ancora l’autoregolamentazione da parte delle aziende.
Di più, invece, hanno fatto già da anni Paesi come la Danimarca, l’Austria, , l’Ungheria, l’Islanda, la Norvegia e la Svizzera: fissando dei limiti nazionali per l’utilizzo di grassi trans negli alimenti che equivalgono quasi a dei divieti.
Lotta ai grassi trans: avanti, ma a piccoli passi
Segno che alcuni passi in avanti sono stati fatti, come peraltro ribadito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel suo ultimo rapporto con cui annualmente vengono tracciati i progressi fatti registrare dagli Stati verso l’eliminazione dei grassi trans dalla dieta.
Sono 43, complessivamente, i Paesi che hanno messo a punto strategie per limitare l’esposizione dei propri cittadini agli acidi grassi trans. Quasi tre miliardi di persone risultano dunque maggiormente protette, rispetto però ai cinque che continuano a essere esposte a un rischio significativo: considerando che le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte su scala globale e che l’eccessivo consumo di acidi grassi trans sarebbe alla base di almeno 500mila decessi annui nel mondo.
Tra i Paesi più esposti – secondo l’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite – ci sono anche alcuni tra quelli che registrano i tassi più alti di malattia coronarica acuta. Ovvero: l’Australia, l’Egitto, l’Iran e il Pakistan (ma non soltanto).
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni Stato dovrebbe: limitare a 2 grammi su 100 l’apporto di acidi grassi trans rispetto ai grassi totali di un alimento e vietare la produzione di grassi trans destinati all’industria sul suolo nazionale.
Prepariamo più golosità in casa (e con l’olio extravergine di oliva)
Al momento, però, anche in Italia si parla troppo poco di questa problematica.
Fondamentale, per raggiungere l’obiettivo, sarebbe il sostegno delle istituzioni, che potrebbe partire da una campagna di informazione adeguata rivolta ai consumatori. Sappiamo che la consapevolezza di queste informazioni è quasi sempre il primo passo che guida ognuno di noi a cambiare progressivamente le proprie abitudini. E da qui, a seguire, le scelte dell’industria.
In fondo mangiare biscotti e torte gustosi è comunque possibile. Meglio senza i grassi trans. Sostituiti, magari, con una dose di olio extravergine di oliva.