Il trend è in calo rispetto ai decenni scorsi. Ma ancora troppo spesso gli adulti che sono alle prese con la celiachia scoprono la malattia in maniera tardiva. Una situazione non priva di conseguenze. Si va infatti dal peggioramento della qualità della vita all’aumentato rischio di sviluppare altre malattie autoimmuni, accentuato fino a quando la celiachia non viene controllata con l’unica terapia disponibile: la dieta priva di glutine. Da qui l’importanza di scoprire l’incapacità di digerire il glutine – elemento presente in quasi la totalità dei cereali e dunque dei prodotti da questi derivati – in maniera tempestiva. Ma il percorso verso una diagnosi corretta non è sempre semplice. Ed è condizionato da diversi fattori, come emerge da uno studio condotto in 19 ospedali italiani tra il 2011 e il 2021: i cui risultati sono appena stati pubblicati sulla rivista “Digestive and Liver Disease”.
Celiachia: per gli adulti diagnosi con otto mesi di ritardo
Analizzando le casistiche registrate nelle diverse strutture deputate all’assistenza ai pazienti celiaci, i camici bianchi hanno stimato la durata media del ritardo diagnostico e indagato le ragioni che ne erano alla base. È così emerso che ogni persona celiaca – 2.362 i pazienti coinvolti nello studio: tutti maggiorenni, donne in 3 casi su 4 – ha dovuto attendere in media otto mesi tra la prima richiesta di consulto e l’acquisizione della certezza di avere la celiachia. Un tempo ridottosi rispetto a quello che si registrava fino all’inizio del secolo: merito dell’aumentata consapevolezza del problema e dell’affinamento delle procedure diagnostiche. Ma comunque “ancora significativo”, per dirla con le parole dei ricercatori. Oggi sappiamo che, in attesa della diagnosi, la qualità della vita delle persone è fortemente limitata. Mentre torna progressivamente verso lo standard una volta completata la diagnosi e intrapresa la dieta senza glutine. Più tardi si intraprende questa terapia, inoltre, maggiore è il rischio di registrare complicanze o di osservare comunque un recupero più lento dai sintomi della malattia”.
Celiachia: di cosa si tratta?
La celiachia è una malattia autoimmune, innescata in persone geneticamente predisposte dall’ingestione di alimenti contenenti glutine. A livello mondiale, si considera che a soffrirne sia l’un per cento della popolazione. Nel caso dell‘Italia, dove le diagnosi completate sono poco meno di 240mila, le stime segnalano un trend di crescita. Al punto che anche il dato atteso, prossimo alle 600mila unità, è considerato sottostimato. Segno che la malattia è come un iceberg, con una parte (inferiore) visibile e un sommerso ancora significativo. Tra le poche certezze, c’è che l’unica terapia al momento riconosciuta prevede l’esclusione di tutti gli alimenti contenenti glutine (anche in tracce) dalla dieta. In questo modo, infatti, si osserva una remissione dei sintomi e dei segni rilevabili a livello intestinale: con l’atrofia dei villi a rappresentare il biglietto da visita della malattia. Già, perché anche in questo caso è plausibile l’ipotesi di essere di fronte soltanto a una delle manifestazioni della celiachia. Diversi studi hanno infatti dimostrato la presenza di condizioni patologiche a carico di altri organi in persone celiache. Soltanto un caso? No, se si tiene traccia dei numeri e si considerano i punti in comune che la malattia celiaca ha con alcune di queste condizioni: dalla dermatite atopica alla tiroidite autoimmune, dal diabete di tipo 1 ai disturbi della fertilità.
I tanti (possibili) volti della celiachia alla base del ritardo diagnostico
La presenza di una quota sommersa di casi è la conseguenza delle mancate diagnosi, che ancora oggi rappresentano un dato significativo. Il problema è sentito soprattutto nella popolazione adulta. Per almeno tre ragioni. Intanto perché 3 casi su 4 riguardano persone con più di 18 anni. E poi perché la celiachia, negli adulti, può essere silente o manifestarsi con sintomi che non riguardano proprio o non soltanto l’intestino. Non di rado, infatti, tra gli adulti si registrano prima problemi che riguardano altri apparati: come la carenza di micronutrienti, l’infertilità, gli aborti ripetuti, l’osteoporosi, la comparsa di problemi neurologici (parestesie, sbalzi d’umore, mal di testa) e la presenza di altre malattie autoimmuni (artrite reumatoide, dermatite erpetiforme, psoriasi, tiroidite di Hashimoto, morbo di Addison, connettiviti). Condizioni che in realtà spesso sono la conseguenza di una celiachia ancora non diagnosticata.
Celiachia troppo spesso “scambiata” con la sindrome del colon irritabile
A determinare il ritardo con cui si scopre la celiachia possono essere anche una precedente diagnosi errata – rilevata in quasi 1 caso su 5 di quelli arruolati nello studio: a partire dalla sindrome del colon irritabile – che porta gli specialisti a considerare il problema di altra natura e dunque di non valutare fin dal primo confronto con un paziente l’ipotesi di sottoporlo ai test necessari per giungere alla diagnosi di celiachia. Ovvero la rilevazione degli autoanticorpi nel siero (IgA anti-transglutaminasi e anti-endomisio) e il riscontro dell’atrofia dei villi intestinali (attraverso un esame endoscopico e una biopsia del duodeno, che invece non è necessario eseguire nei bambini).
Screening raccomandato soltanto ai parenti dei celiaci
È dunque soprattutto la varietà delle manifestazioni con cui può avanzare la celiachia a determinare il ritardo diagnostico che continua a registrarsi nel nostro Paese. Un problema che finisce per condizionare la vita delle persone. E che rende imprecise le stime riguardanti l’incidenza (nuovi casi) e la prevalenza (totale) della celiachia. “Favorire la conoscenza di tutte le sue possibili manifestazioni, da quelle più esplicite a quelle più subdole, è il primo passo da compiere per ridurre il ritardo diagnostico”, conclude Di Sabatino. Nello studio si fa un accenno allo screening, che rimane raccomandato soltanto ai parenti di primo grado delle persone già in possesso di una diagnosi di celiachia. “Ogni anno in Italia una quota compresa tra il 15 e il 20 per cento dei nuovi casi è da ricondurre a congiunti stretti di persone celiache: eppure questo screening non funziona ancora come dovrebbe nel nostro Paese”, è quanto messo nero su bianco dai ricercatori nelle conclusioni del lavoro. Screening che continua a non essere invece raccomandato per la popolazione generale, in assenza di sintomi.
Per saperne di più:
Celiachia: i sintomi e le cause, Humanitas
Celiachia: tutto ciò che c’è da sapere, Istituto Superiore di Sanità
Alimentazione e celiachia: il quaderno, Fondazione Umberto Veronesi