La regina Elisabetta ne andava ghiotta. Chi ha frequentato Buckingham Palace racconta che il rito del tè alle 16 era irrinunciabile, per la sovrana appena scomparsa. E chissà che anche il consumo regolare (quotidiano) e protratto nel tempo non sia stato alla base della longevità della sovrana inglese, scomparsa nei giorni scorsi a 96 anni. Un’ipotesi che deriva da uno studio appena pubblicato sulla rivista «Annals of Internal Medicine» (il link al paper è riportato in fondo all’articolo). E condotto – seppur da un gruppo di ricercatori del National Cancer Institute di Bethesda – su un campione di quasi cinquecentomila adulti inglesi. Non un caso, probabilmente. Ma vediamo quali evidenze derivano da questo lavoro e vanno a rafforzare un bagaglio di prove già robusto.
A caccia di qualsivoglia soluzione in grado di allungare la quantità e la qualità della nostra esistenza, anche bere due tazze di tè al giorno può rappresentare una possibile soluzione. Leggendo i dati dell’ultima ricerca, infatti, si evince che simili consumi sono associati a un rischio di decesso (per qualsiasi causa) inferiore. E in maniera significativa (-9/-13 per cento) rispetto a quello associabile a coloro che invece non hanno questa (buona) abitudine. Evidenze analoghe a quelle emerse in ultima istanza nel 2020, in uno studio cinese pubblicato sull’«European Journal of Preventive Cardiology». In questo caso l’eventualità di morire per problematiche cardiovascolari erano risultate ridotte fino al 30 per cento tra coloro che consumavano la bevanda tre o più volte a settimana. Conclusioni che hanno rafforzato le convinzioni degli autori statunitensi, pronti ad affermare che «il consumo di tè, anche a quantità più elevate, può far parte di una dieta sana». Indipendentemente dalla tipologia consumata, dall’eventuale aggiunta di zucchero e dalla presenza di caffè nella dieta.
Dati che confermano quanto già emerso da altre ricerche, secondo cui soprattutto il tè verde fungerebbe da «scudo» nei confronti tanto delle malattie cardiovascolari quanto di alcuni tumori. Quanto alle cause del fenomeno osservato, secondo diversi epidemiologi, i meriti potrebbero essere dei polifenoli contenuti nel tè: a concentrazioni più elevate in quello verde. Dal momento però che il loro smaltimento è piuttosto veloce, «per avere l’effetto cardioprotettivo è necessario consumarne di frequente», è la considerazione fatta due anni addietro dai ricercatori cinesi. Non tutti i tè, però, sono uguali e l’analisi ha fatto emergere come il tè verde sia collegato con un 25 per cento di rischio in meno di problemi cardiovascolari e mortalità per tutte le cause. Non sono emersi dati, invece, sul tè nero. Un effetto dovuto a due fattori. In primo luogo, il tè verde è particolarmente ricco di polifenoli che proteggono contro le malattie cardiovascolari ed i suoi fattori di rischio tra cui ipertensione e colesterolo. Inoltre, il tè nero è un prodotto fermentato e durante questo processo i polifenoli si ossidano e potrebbero perdere il loro effetto protettivo. Inoltre, spesso il tè nero viene servito con il latte e alcune precedenti ricerche avevano dimostrato che ciò potrebbe contrastare gli effetti benefici del tè sulle funzioni vascolari.
La fama del tè verde ha determinato un aumento dei consumi anche in Italia. A fare la differenza è il maggiore contenuto di epigallocatechina gallato, una antiossidante più abbondante nel tè verde che in altre tipologie della stessa bevanda. La molecola, negli ultimi anni, era balzata agli onori della cronaca anche per una sua presunta tossicità a carico del fegato. Scenario escluso dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa), secondo cui il consumo della bevanda è «generalmente sicuro» (nessun problema fino a due tazze al giorno). Diverso invece è il discorso se si ricercano i benefici attraverso gli integratori a base di epigallocatechina gallato, assunti soprattutto a scopo dimagrante. Molti di essi, infatti, apportano «dosi di catechine che possono determinare problemi alla salute del fegato». Il problema sta però nelle concentrazioni della seconda molecola, che se assunta attraverso una capsula può arrivare a essere assunta fino a dosi superiori a 800 milligrammi al giorno. Un limite che, secondo l’Efsa, «potrebbe determinare l’inizio del danno epatico».
Con una tazza di tè, invece, nessun problema. Anzi, probabilmente soltanto vantaggi.
Per saperne di più:
Efsa assesses safety of green tea catechins, European Food Society Agency