C’è un tema di cui non si parla mai. E non lo si è fatto nemmeno nelle ultime settimane di un’estate atipica, caratterizzata dalla campagna elettorale che culminerà con le elezioni di domenica 25 settembre. È il ruolo che si vuole dare in questo Paese alla ricerca scientifica. Ho cercato di mantenermi aggiornato su tutte le proposte dei vari leader in corsa: almeno quelle che afferiscono al mio ambito professionale. Al di là di quello che sarà poi realmente fatto, ci sono diverse buone intenzioni per quel che attiene l’ambito della salute. Per farsi un’idea – alla vigilia del voto – rimando a un ampio speciale realizzato nei giorni scorsi sul sito del quotidiano La Repubblica.
Se non in maniera molto sommaria, in pochi hanno invece puntato l’attenzione sulla necessità di incrementare i finanziamenti alla ricerca scientifica, che rappresenta di fatto la base in cui porre le fondamenta dello sviluppo di un Paese. «Dobbiamo mettere più fondi a disposizione dei ricercatori», è il refrain che si ascolta da anni e che non è mancato nemmeno nelle ultime settimane. Prendendoli da dove e per investirli in quale ambito, però, è una profezia in cui non si è lanciato nessuno. O che almeno non è giunta né alle mie orecchie né a quelle di tante altre persone – perché ce ne sono, in Italia: sebbene il tema sembra riguardare una platea molto ristretta di connazionali – interessate a conoscere i programmi dei diversi leader anche in questo senso.
Sono partito dalle imminenti elezioni non perché ami occuparmi di politica, ma perché le cronache recenti non hanno fatto altro che confermare come la ricerca scientifica rappresenti quella che in Liguria chiamerebbero la Bella di Torriglia: una figura affascinante e desiderata, ma di cui nessuno sembra avere voglia di occuparsi. I suoi successi sono sotto gli occhi di tutti, come dimostra l’impatto avuto dai vaccini a mRNA nella gestione della pandemia da Covid-19. Cito questo esempio per essere accessibile a tutti, secondo quello che è il fine ultimo di questo blog. A chi ne volesse altri – ma anche per conoscere e comprendere quelle che sono le tappe di un percorso di ricerca che portano dalla formulazione di un’ipotesi all’ottenimento di un risultato agognato – consiglio inoltre l’ascolto del mio ultimo podcast, registrato con Chiara Segré (Biologa molecolare e Responsabile della Supervisione Scientifica di Fondazione Umberto Veronesi). Nonostante la ricerca scientifica (non soltanto quella biomedica) sia parte di tutte le nostre giornate, quando si tratta di puntarci in maniera decisa nicchiano però più o meno tutti.
Eppure di fronte a noi ci sono anni difficili, in cui dovremo decidere quali strade imboccare per esempio sul piano della mobilità, del consumo energetico, della produzione alimentare, della tutela della biodiversità, dello sviluppo farmaceutico e delle sfide sociali poste dall’aumento della longevità. La sostenibilità, per usare un termine molto in voga ormai da diversi anni, è qualcosa che esprime una visione laica e rispettosa delle risorse e della salute del Pianeta. Per perseguirla in ogni nostra scelta, la ricerca è fondamentale. Noi tutti, come consumatori, abbiamo la necessità di ampliare le nostre conoscenze per compiere scelte consapevoli. E questa conoscenza, per arrivare a noi, ha bisogno di germogliare nei laboratori.
La ricerca scientifica può dare un grande contributo a trovare soluzioni che tengano assieme lo sviluppo economico di oggi con i bisogni delle generazioni future e che attenuino lo squilibrio fra la ricchezza di pochi e la povertà di molti. Il complesso della attività che la contraddistinguono, in tutti i campi, svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo delle moderne economie di mercato. La conoscenza – sia quella acquisita da coloro che partecipano ai processi produttivi (capitale umano) sia quella incorporata nei beni capitale (innovazione tecnologica) – è un vero e proprio fattore della produzione. Costituisce un investimento – quelli nell’accumulazione di capitale umano (attraverso la formazione) e quelli dedicati alla ricerca e allo sviluppo – ad alto rendimento. Ciò vuol dire che i benefici per la collettività superano quelli privati.
La spesa in istruzione e ricerca è dunque strategica. Eppure in Italia è ancora troppo bassa. Il nostro Paese investe su questo secondo ambito poco più dell’1 per cento del prodotto interno lordo. Una quota pressoché invariata nell’ultimo ventennio e di gran lunga inferiore a quella messa a disposizione dei ricercatori (tra cui anche molti nostri connazionali) che lavorano negli Stati Uniti, in Cina e in Giappone. E dall’obbiettivo fissato dall’Unione Europea, secondo cui ogni Stato dovrebbe destinare almeno il 3 per cento del PIL alla ricerca. La generosità dei singoli cittadini e del settore no profit spesso sopperisce alle carenze di fondi, soprattutto nella ricerca in campo medico. Merito anche della presenza e dell’attivismo costante di numerose organizzazioni, ognuna delle quali ormai specializzata nel supportare l’attività in ambiti specifici della medicina. Ma in un periodo come questo – con una pandemia da mettere definitivamente alle spalle, un conflitto in corso alle porte dell’Europa e una situazione economica su scala mondiale che sta contribuendo ad ampliare i tassi di povertà – occorre un maggiore impegno per rendere il contesto aperto all’innovazione scientifica e pronto a sottolineare in ogni contesto utile le ricadute sul benessere collettivo. Ed è inevitabile che a coordinare questa «rivoluzione» – in un Paese come l’Italia – debbano essere in primis le istituzioni e le forze politiche.
Lo strumento più potente di cui disponiamo per migliorare la qualità e la prospettiva di vita delle persone è la scienza. La ricerca ci ha permesso di vivere di più e di vivere meglio. Come? Portando innovazione. Generando nuova conoscenza. Sviluppando la capacità di rispondere alle difficoltà e governare i cambiamenti. Chi non fa ricerca, non guarda al domani e si ritrova «succube» del presente. Uno scenario da evitare a maggior ragione in questo periodo. Per frenare il declino, serve dunque dare nuova linfa alla ricerca scientifica. L’aumento delle risorse è il primo passo da compiere. Ma non l’unico, se non accompagnato da un loro utilizzo razionale e in linea con quelle che sono le aspettative delle diverse istituzioni. E, di conseguenza, della società. Che servano più fondi, però, è un assioma che ogni ricercatore ripete ormai da anni. A proposito: seguite il loro impegno nel corso della Notte Europea dei Ricercatori (30 settembre). Visto il punto di svolta a cui sembra essere giunto il nostro Pianeta, probabilmente è giunto il momento di dare loro ascolto.
Per saperne di più:
Ricerca scientifica: programmi elettorali a confronto – Scienza in Rete
I grant ‘ERC’ italiani inaugurano un nuovo sistema di valutazione – Nature Italy
L’impegno dell’Europa a sostegno della ricerca scientifica – Commissione Europea
Gli Istituti in cui si fa ricerca in Italia – Ministero dell’Università e della Ricerca
I programmi di finanziamento attivi in Italia – Ministero dell’Università e della Ricerca