È stato tutto possibile fino al 16 gennaio 2003: accompagnare la tazzina di caffè al bar con una sigaretta, fare due tiri all’interno dei cinema e alla scrivania dell’ufficio. Nessuno, fino a vent’anni, aveva mai immaginato che queste esperienze avrebbero fatto parte soltanto dell’album dei ricordi. Fino al 2005, anno in cui entrò in vigore la legge voluta due anni prima dal ministro della Salute Girolamo Sirchia. Un grande traguardo di civiltà, grazie a cui siamo riusciti a proteggere sia i non fumatori sia i fumatori. Ma il mercato si è adeguato, al punto tale da rendere incompleta la protezione che quella stessa disposizione è oggi in grado di garantire. Ecco perché, all’interno della comunità scientifica, sono quasi tutti d’accordo con la necessità di apporre un’ulteriore stretta.
Che cosa dice la legge
L’Italia è stato il primo grande Paese europeo a regolamentare il fumo in tutti i locali chiusi pubblici e privati, compresi i luoghi di lavoro e le strutture del settore dell’ospitalità. La legge 3/2003 è sempre stata considerata un modello di efficace intervento di salute pubblica.
Sulla scia di quanto fatto dal nostro Paese, infatti, in Europa e nel mondo sono state introdotte norme a tutela dal fumo passivo. In alcuni casi, anche più restrittive. Senza per esempio l’istituzione di spazi per fumatori all’interno dei locali chiusi, previsti in Italia a fronte di un’ampiezza, di una congrua collocazione e di una ventilazione sufficiente negli stessi.
Al di là del divieto di fumo, ancora oggi nei locali devono essere affissi cartelli appositi, identificati i responsabili dell’applicazione della norma, previste multe per i fumatori che la violano (tra 27,50 e 550 euro: con aggravanti quali la recidiva, il fumo in presenza di donne in gravidanza e bambini fino a 12 anni) e per gli esercenti inadempienti (220-2.200 euro).
L’impatto della legge 3/2003 sulla società
Misure che oggi vengono date per scontate, ma che non erano tali nell’Italia di inizio secolo. Al punto che la cosiddetta legge-Sirchia fu molto osteggiata all’inizio. Oltre che dai fumatori, dai commercianti: spaventati di fronte all’ipotesi che gli italiani iniziassero a non frequentare più i locali pubblici, alla luce della stretta. Ricadute economiche di questo tipo, in realtà, non ce ne furono. Gli italiani si adattarono. Ma soprattutto determinarono la risposta attesa dagli esperti di sanità pubblica.
Dopo un lungo periodo di calo dei fumatori tra gli uomini e di aumento tra le donne, i cinque anni successivi all’entrata in vigore della legge furono caratterizzati da una flessione significativa dei fumatori in entrambi i sessi.
Più che per il ritorno delle sigarette tradizionali, per la diffusione di alcuni prodotti (trinciati, sigari, sigaretti) e l’avvento sul mercato di nuovi dispositivi (sigarette elettroniche, a tabacco riscaldato, puff-bar) che hanno quasi annullato l’effetto della legge sui fumatori tradizionali. La curva è pressoché piatta anche nel momento in cui l’analisi viene scorporata per fasce d’età. Questo vuol dire che ormai non si registrano più variazioni significative.
In Italia il fumo è un’abitudine di quasi 1 persona su 4
Sulla base dei dati presentati in occasione dell’ultimo World No Tobacco Day, in Italia a fumare sono 12,4 milioni di persone. Quasi 1 connazionale su 4: più uomini (7,5 milioni) che donne (4,9 milioni). I dati sono in crescita dal 2019. Negli ultimi due anni, coincisi con la pandemia, l’incremento è stato di due punti percentuali.
Le sigarette tradizionali sono ancora le più fumate, ma negli ultimi due anni abbiamo registrato un aumento dell’800 per cento delle vendite di stick e sigarette a tabacco riscaldato. Chi ricorre a questi prodotti quasi sempre è un consumatore duale. Continua cioè a fumare anche le sigarette. Questo spiega perché il dato complessivo rimane costante.
Un problema sanitario, ma pure sociale. Si sta tornando a normalizzare un gesto che ormai non era più considerato tale. Eppure, con la consapevolezza che abbiamo oggi sui danni del fumo, le sigarette non arriverebbero mai sul mercato.
La necessità di aggiornare la legge Sirchia
I tempi sembrano maturi per un aggiornamento della legge 3/2003 in senso restrittivo. Ipotesi già sul tavolo del ministro della Salute Orazio Schillaci, che sembra favorevole all’equiparazione tra prodotti del tabacco di vecchia e nuova generazione.
La comunità scientifica è pressoché unanime nel considerare la necessità di estendere il divieto nei luoghi chiusi a tutti i dispositivi oggi disponibili sul mercato. Tra i giovani, d’altra parte, dilaga l’utilizzo di prodotti contenenti nicotina sintetica e sali di nicotina, che dà molta più dipendenza rispetto a quella liquida. Un motivo in più per regolamentare un mercato che rischia di sfuggire dalle mani.
Le intenzioni esplicitate dal ministero stanno incontrando il gradimento anche del mondo delle associazioni di pazienti. “Ben venga l’estensione del divieto all’aperto in presenza di bambini e donne in gravidanza, la limitazione alle sigarette elettroniche e ai prodotti del tabacco riscaldati, l’eliminazione delle sale fumatori nei locali chiusi e l’estensione del divieto di pubblicità ai prodotti contenenti nicotina”, è il pensiero di Annamaria Mancuso, presidente di Salute Donna Onlus.
Secondo Bruno Aratri, presidente dell’associazione Insieme per i Pazienti di Oncologia Polmonare (ipop), “è necessario rafforzare l’opera di prevenzione e divieto del fumo: anche promuovendo ricerche indipendenti e campagne antifumo, oltre che investendo in programmi per la diagnosi precoce delle malattie correlate. Le risorse finanziarie necessarie potrebbero essere ottenute da un aumento delle tasse sui prodotti del tabacco”.