Il calo del numero degli spermatozoi tra gli uomini rappresenta un problema noto da decenni alla comunità scientifica.
L’emergenza, finora ritenuta tale soltanto nei Paesi occidentali, riguarda in realtà l’intero Pianeta. E dunque anche i Paesi dell’America Latina, dell’Asia e di quell’Africa che finora ha rappresentato l’argine alla denatalità su scala globale.
Una tendenza che vive una discesa inarrestabile e che ha portato l’epidemiologo israeliano Hagai Levine ad agitare finanche lo scenario peggiore: quello abitato da uomini incapaci di procreare, “se non cambieremo l’ambiente che ci circonda, le sostanze chimiche a cui siamo esposti e il nostro stile di vita“.
L’inarrestabile discesa della fertilità
Il campanello d’allarme è suonato nuovamente nei mesi scorsi, in seguito alla sintesi di una serie di evidenze scientifiche formulata attraverso la rivista Human Reproduction Update.
I ricercatori dell’Università ebraica di Gerusalemme e del Mount Sinai Hospital di New York hanno concluso un lavoro avviato da tempo. E che, già nel 2017, aveva portato a conclusioni analoghe relativamente agli uomini europei, nord americani, australiani e neozelandesi.
Mancava però un tassello per descrivere il trend della conta degli spermatozoi nel mondo: l’evoluzione registrata negli ultimi cinquant’anni in Asia, Africa e Sud America. Troppo pochi gli studi lì condotti fino a quel momento per trarre conclusioni definitive. Sette anni in più di osservazione (2011-2018) sono invece bastati agli stessi ricercatori per completare il mosaico con le informazioni relative a questa parte del mondo.
Ottantadue gli studi passati in rassegna: un numero congruo per descrivere come il calo della conta totale degli spermatozoi e la loro concentrazione nel liquido seminale (due indicatori dello stato di fertilità maschile) non stia risparmiando praticamente nessun uomo. Con un declino su scala globale sempre più accentuato: questo quanto registrato in entrambi i lavori tra il 2000 e il 2018.
L’impatto degli stili di vita sulla fertilità maschile
Oggi l’uomo è poliedrico e porta a termine la maggior parte dei corteggiamenti grazie alla rete. Ma quanto a virilità, i maschi del terzo millennio sono dunque sconfitti in partenza nel confronto con genitori e nonni.
Emblematico è il caso dell’Italia, dove nel 2021 per la prima volta il numero dei nuovi nati si è attestato sotto le 400mila unità. Un trend che riflette le conseguenze delle difficoltà nel pianificare la costituzione e l’allargamento della famiglia. E su cui sembra aver avuto un impatto anche la pandemia.
Ma alla base del calo delle gravidanze c’è pure un’altra ragione, affrontata con minor frequenza in quanto più temuta. Sul tavolo c’è infatti la virilità degli uomini: tutt’altro che accresciuta nell’epoca del benessere. Il sovrappeso, la sedentarietà, l’abitudine al fumo, l’inquinamento ambientale e la diffusione delle malattie sessualmente trasmesse sono tra le principali cause indiziate di aver determinato il calo degli spermatozoi.
Aspetti che, secondo i ricercatori, “influenzano lo sviluppo della salute riproduttiva durante la vita fetale: con la successiva compromissione della fertilità”.
Uomini meno fertili e più esposti ad alcune malattie (tra cui il tumore al testicolo)
Gli effetti delle sostanze chimiche presenti nei cibi possono sommarsi a quelli di altri elementi ambientali e dello stile di vita che minacciano la salute sessuale maschile: dal fumo alle malattie sessualmente trasmesse.
Per questo, al fine di tutelare il proprio benessere, gli uomini dovrebbero rivolgersi all’andrologo per avere consigli anche rispetto alle proprie abitudini di vita e a tavola.
Sebbene il cinquanta per cento dei casi di infertilità di coppia risulti provocato da un problema maschile, le conseguenze di quanto osservato non riguardano soltanto l’aspetto riproduttivo.
“Un calo del numero degli spermatozoi superiore all’1 per cento da un anno all’altro espone gli uomini a maggiori probabilità di sviluppare disfunzioni ormonali e di ammalarsi di tumore al testicolo, criptorchidismo e ipospadia“, avverte Levine.
Salute riproduttive: le richieste della comunità scientifica alle istituzioni
A conferma dell’estrema attualità dell’argomento, ci sono anche le raccomandazioni diffuse dalla Società Europea di Riproduzione Umana ed Embriologia (Eshre). Da cui si evince che l’inquinamento non soltanto mette a rischio le possibilità che uomini e donne hanno di avere un figlio in maniera naturale.
Ma rappresenta un’insidia anche per la salute dell’eventuale nascituro, alla luce dell’esposizione a sostanze inquinanti fin dalla vita fetale.
Di seguito le otto richieste rivolte ai decisori politici dagli esperti:
- Introdurre di misure più efficienti per salvaguardare la popolazione dall’esposizione a sostanze chimiche che mettono in pericolo la fertilità e la salute riproduttiva
- Aggiornare delle normative sulla valutazione del rischio delle sostanze chimiche e del loro impatto sulla salute umana
- Mettere a punto strategie di prevenzione rivolte sia agli uomini sia alle donne per ridurre l’impatto degli inquinanti ambientali durante la gravidanza
- Rendere noti i rischi legati all’esposizione professionale a sostanze chimiche con un impatto sulla salute riproduttiva
- Sviluppare una piattaforma digitale europea per raccogliere dati di sorveglianza armonizzati e consentire il monitoraggio dell’impatto ambientale sulla salute riproduttiva e della prole
- Rafforzare le iniziative di decarbonizzazione per prevenire danni alla salute riproduttiva e migliorare la salute del Pianeta
- Dare più spazio a campagne di salute pubblica (per tutte le età) al fine di aumentare la consapevolezza dei rischi per la salute riproduttiva derivanti dall’esposizione a sostanze inquinanti
- Valutare il possibile impatto di prodotti industriali e farmaceutici sulla salute riproduttiva e sui gameti prima di autorizzare la loro immissione in commercio