Mercoledì 15 febbraio si celebra la Giornata mondiale dedicata ai tumori infantili. Un appuntamento che giunge a meno di due settimane dal World Cancer Day, grazie a cui i riflettori sono stati accesi sul cancro in tutte le sue forme. Questo ulteriore appuntamento è invece dedicato nello specifico alle malattie oncologiche che possono colpire i più piccoli. Un set di pazienti speciali: per l’età e per il processo di crescita in corso e minato dal cancro. Ma anche perché i tumori che interessano i più giovani presentano alcune peculiarità che non sempre li rendono sovrapponibili a quelli degli adulti.
Tumori pediatrici: la situazione in Italia
Sono circa 1.400 i bambini (0-14 anni) e 800 gli adolescenti (15-18 anni) che ogni anno in Italia si ammalano di cancro. Oggi, grazie ai progressi ottenuti dalla ricerca scientifica, circa l’80 per cento dei bambini e degli adolescenti è vivo a cinque anni di distanza dalla scoperta della malattia. Questi sono i dati italiani, perché sulla precocità delle diagnosi e sulle possibilità di guarigione lo scenario è invece molto eterogeneo, a livello mondiale. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista “The Lancet Oncology”, la sopravvivenza globale è infatti di molto inferiore a quella italiana (37 per cento). Ampia è la forbice tra i diversi Paesi. Il dato varia dall’8 per cento dei Paesi dell’Africa orientale all’83 per cento degli Stati Uniti e del Canada. Di questo passo, l’obiettivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di raggiungere un tasso di sopravvivenza medio del 60 per cento per almeno sei tumori (leucemia linfoblastica acuta, linfoma di Hodgkin, linfoma di Burkitt, retinoblastoma, nefroblastoma e gliomi di basso grado) rischia di rimanere soltanto sulla carta.
Quali forme di cancro possono colpire i più piccoli?
Nei bambini, leucemie, tumori del sistema nervoso centrale e linfomi sono risultati i più ricorrenti. In quelli con meno di cinque anni, un terzo dei casi erano dovuti a tumori embrionali: come il neuroblastoma, il retinoblastoma, il nefroblastoma o l’epatoblastoma. Secondo l’oncologo pediatra Tezer Kutluk, ex presidente dell’Unione Internazionale per il Controllo del Cancro, “i tumori sviluppati nei bambini hanno maggiori probabilità di essere innescati da cause genetiche, rispetto a quanto si osserva negli adulti”, in cui il ruolo degli stili di vita risulta di pari rilievo.
Ammalarsi di cancro in adolescenza
Un focus a parte lo meritano gli adolescenti. In Italia sono all’incirca 800 coloro che ogni anno scoprono di avere un tumore. I ragazzi – collocati in una terra di mezzo tra l’infanzia e l’età adulta – possono ammalarsi di neoplasie tipiche del bambino (come i tumori renali di Wilms, il neuroblastoma, i sarcomi dei tessuti molli, i linfomi e le leucemie pediatriche), ma anche di tumori peculiari dell’adulto (melanoma, tumore polmonare o al seno). Ciò fa sì che non sempre chi li ha in cura sappia che cosa è meglio fare. A questo aspetto occorre aggiungere che, visti i numeri esigui, l’industria farmaceutica non ha mai mostrato particolare interesse nell’investire in questo ambito. In media, oggi sopravvivono, rispettivamente, il 79 e l’82 per cento dei bambini e degli adolescenti che s’ammalano di cancro.
I successi della ricerca nell’oncologia pediatrica
Numeri che – purtroppo – non sempre si rilevano nella sopravvivenza delle malattie che colpiscono gli adulti. Un aspetto che non deve sorprendere, perché la cura delle forme di cancro pediatriche rappresenta uno dei modelli di maggiore successo della medicina moderna. I primi riscontri, in questo senso, risalgono già agli anni ’50, con l’introduzione della chemioterapia nel trattamento dei tumori del sangue. Approccio che, a partire dagli anni ’70, è stato utilizzato anche nel trattamento dei tumori solidi (osteosarcoma). Nel tempo si è lavorato per affinare l’approccio alle cure e gestire gli effetti collaterali. Prima di arrivare al secolo in corso e all’introduzione prima dei farmaci a bersaglio molecolare e poi delle CAR-T (un’evoluzione dell’immunoterapia).
Tumori pediatrici: l’importanza di curarli in centri con esperienza
Nel caso dei tumori ematologici, la «centralizzazione» dei pazienti incide in minore misura sull’esito dei trattamenti. Merito della diffusione dei protocolli di cura, grazie ai quali le terapie farmacologiche sono ormai standardizzate. Più ampia si rivela invece la forbice quando i tumori da trattare sono solidi. Poiché in simili situazioni l’approccio deve essere multidisciplinare, la necessità di personale esperto nel trattamento di tumori rari fa in modo che ancora oggi esistano centri di eccellenza per cui vale la pena di spostarsi. La collaborazione attiva tra tutti i centri di oncologia pediatrica in Italia – 50 in tutto, con Piemonte e Toscana organizzati in una rete di «hub» e «spoke» – permette di limitare la migrazione sanitaria. Merito soprattutto del sistema di revisione centralizzato degli esami diagnostici. Per ogni malattia oncologica infantile, infatti, esiste un gruppo di esperti nazionali che supervisiona ogni singola diagnosi. Così facendo, il rischio di iniziare una terapia inappropriata dovrebbe essere pari a zero.
Ancora troppe disuguaglianze nella cura dei tumori pediatrici
Questo lo scenario che si rileva nelle realtà più avanzate: a partire dagli ospedali italiani. Come già detto, però, in molti altri Paesi del mondo la situazione è diversa. A partire dall’Europa, come certificato da un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il tasso di mortalità varia infatti dal 9 al 57 per cento tra i diversi Paesi. Differenze tra i Paesi, ma anche disuguaglianze all’interno degli stessi e attribuibili a contesti socioeconomici, genere ed età di chi si ammala.
Per saperne di più:
Tumori pediatrici: tutti i successi dal ‘900 a oggi, Fondazione Umberto Veronesi
L’impatto di Covid-19 sui tumori pediatrici, Fondazione Umberto Veronesi